martedì 27 marzo 2018

CINQUANTA METRI

19 marzo 2018

Cinquanta metri 

Oggi è la festa del papà, la quinta da quando mia figlia è con noi. 
Anno dopo anno, nella nostra famiglia, questa ricorrenza è stata sempre più sentita e festeggiata, in modi diversi ma sempre più consapevoli e gioiosi. I primi anni, con i lavori di disegno della scuola materna, poi anche con i regali comprati con la mamma e quest’anno da una bellissima tovaglietta plastificata che contiene un disegno dove sono rappresentato io, oltre a tanti cuori e tanti colori. 
Mia figlia sta crescendo, come cresce in lei anche l’inquietudine che si prova con la scoperta delle cose nuove, quella meraviglia che chiede risposte e bisogno di sicurezza. 
Quella sicurezza che cerco di darti tutti i giorni, e che tu vuoi mettere alla prova. Hai bisogno sempre del contatto fisico, mio o della mamma, chiedi la vicinanza come certezza, come se ci fosse un magnetismo, un sostegno saldo a cui aggrapparsi in qualsiasi istante. Abbiamo anche smesso il corso di nuoto, qualche mese fa, perché io, a bordo vasca, ero comunque troppo lontano. La motivazione per la sospensione repentina del corso, con una naturalezza disarmante, l’hai data in simultanea mentre uscivi dall’acqua abbandonando i tuoi amici in costume che ti guardavano: alla mia domanda “cos’è successo ?”, la risposta fu : “tu lavori tutta la settimana e il sabato voglio stare vicino a te”. Giustificazione quanto mai illuminante sul desiderio di tempo da trascorrere insieme e altrettanto efficace sul concetto di “vicino” e “lontano”. Anche tre metri sono tanti, poi c’era di mezzo l’acqua. 
Perciò assecondiamo volentieri il tuo attaccamento e per questo riesco a percepire ogni qual volta provi a fare un lieve spostamento, un accenno di distacco, quel tanto che basta, con i tuoi sei anni, a farti sentire sempre più sicura di te. 
L’altra mattina mi hai chiesto di lasciarti andare da sola dal parcheggio della scuola fino all’ingresso. Sono cinquanta metri circa, due passaggi pedonali. Ti posso guardare mentre rimango fermo, dove mi lasci dopo avermi dato un bacio. 
Fai quei cinquanta metri correndo, con lo zaino che oscilla dietro la schiena, e tu corri dritta fino alla soglia della porta a vetri dell’ingresso, per poi girarti e alzare la mano per salutarmi. Non so se hai corso perché hai in corpo l’eccitazione della crescita oppure perché quel tragitto doveva durare poco. 
Ho risposto al tuo saluto, mentre rimanevo nel parcheggio e ti guardavo, e solo all’ultimo, mi sono accorto di sorridere. Sorridevo a te, mentre tutti quei bambini correvano e tu eri in mezzo a loro, immobile per pochi secondi. Ho risposto al tuo saluto e in un istante ti sei girata e sei entrata. 
Allora è adesso che inizia la tua indipendenza? Forse si, e credo anche che fra qualche anno, rileggendo quanto ho scritto, quando sarò testimone di altre e più audaci conquiste che non i cinquanta metri, il mio sorriso possa diventare un pò più malinconico. 
Solo per poco però perché in fondo, ciò che a noi genitori da il senso di vivere, sono le conquiste dei figli: la loro mano che si stacca, la loro schiena che si allontana, la loro fronte che guarda in alto. 
Vorremmo sempre lasciarli per solo cinquanta metri, ma quando le distanze saranno altre e loro andranno per il mondo da soli, vorrà dire che avremo svolto bene il nostro dovere. 
Per ora rimango qui, col sorriso, mentre ormai tutti i bambini sono dentro e suona l’ultima campanella.



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