venerdì 22 dicembre 2017

LA CURVATURA DEL TEMPO. ( Buon Natale)

C’è qualcosa in questo periodo prenatalizio che torna sempre, tutti gli anni, e che noi, inconsapevolmente viviamo. Ci stiamo abituando, ogni qualvolta arriva la fine di novembre, a pensare al Natale in quanto ad impegno e non nella sua essenza. Ci facciamo prendere gradualmente dal pensiero degli addobbi, dei regali ai parenti, dal chi organizza il cenone, da chi invitare ai vari pranzi e cene. E anche a quali pranzi o cene andare o - se possibile- non andare. 
Ci siamo abituati meccanicamente a tutti questi impegni e non pensiamo più a vivere questa atmosfera con la magia che dovrebbe aiutarci a capire lo spirito della festività che con tanta caparbietà e impegno stiamo impacchettando. 
Ogni anno ci scapicolliamo per sostituire le luci dell’albero che non funzionano, teniamo d’occhio da inizio dicembre le promozioni sul salmone per le tartine o sui panettoni in offerta da regalare a chi non ci è simpatico ma dobbiamo fingere comunque che per noi sia meritevole di un pensiero natalizio. Ma non è lo spirito giusto. Non è lo spirito giusto mandare le mail di auguri con il destinatario “undisclosed-recipients”, così come non lo è dire “se non ci vediamo auguri!”, e tantomeno fare la fila nel franchising alla moda dentro il centro commerciale per comprare un “pensierino dell’ultimo minuto”. Questa, al limite, è cortesia, non è lo spirito del Natale. 
Lo spirito natalizio potrebbe essere pensare che c’è chi sta peggio di noi, che chi ci fa paura perché è diverso da noi ha un nome, un cognome e una storia, e magari conoscendola potremmo arrichire le nostre idee. Arricchirsi ascoltando le storie, stare in ascolto degli altri, ecco lo spirito natalizio che ci può far crescere, ecco la cometa da seguire. 
Se impariamo ad ascoltare gli altri, anziché augurare “buon Natale” per dovere a chi non vediamo da tempo, magari potremmo chiedere “come stai?”, prendere un caffè insieme e fare quattro chiacchiere. Sincerità. Lo spirito del Natale dovrebbe rifiutare le ipocrisie, dovremmo per questo ricordarci del Natale di quando eravamo piccoli. Quando si è bambini non ci sono barriere o maschere, si vive nel disincanto della purezza, dei sentimenti buoni. In fondo, per chi ha figli piccoli, questo periodo è come una curvatura del tempo, i giorni che stiamo vivendo con i nostri bambini,  possono essere un parallelo con i giorni del Natale della nostra infanzia. 

C’era sempre l’albero, il presepe, il cenone, i regali, Babbo Natale, tutto è adesso come allora, sono i nostri occhi che sono diversi. O forse guardano solo dalla parte sbagliata. 

martedì 19 dicembre 2017

TUTTO IL RESTO È NOIA


Leggo un articolo stamattina sul giornale e improvvisamente ritorno indietro col pensiero alla mia infanzia, nei giorni prima del Natale, nei primi anni di cui ho memoria. In questo periodo mi capitava spesso di trascorrere diverso tempo su un sedile posteriore di un’auto, una Fiat 500 precisamente. Altrettanto spesso capitava di aspettare in piedi in un supermercato o un grande magazzino. Poi ancora attese su un divano, unico bambino presente ad una noiosissima visita a parenti. 
Erano gli anni di transito fra i 70 e gli 80, finivano gli anni di piombo, che ci hanno lasciato diritti e leggi giuste ma anche stragi e terrorismo;  e iniziavano gli anni d’ oro della Milano da bere, che ci avrebbero lasciato  un sacco di bei film, la musica pop di Deejay television, il debito pubblico e Berlusconi. 
Io, da figlio unico, vivevo lunghi pomeriggi da solo, quando in inverno non giocavo con gli altri bambini in cortile, e si passava la maggior parte del tempo in casa. In quelle occasioni, se avevo voglia mi inventavo giochi, di carta o cartone, che mia madre assecondandomi- fin troppo- lasciava sparsi in giro dove io li posizionavo. Con gli amici i giochi erano sempre inventati con poco : macchinine, soldatini, biglie erano sufficienti perché ci si divertisse. Durante le trasferte con i nonni, dove ero solo in un mondo di adulti, l’unica alternativa ad ascoltare le loro noiose discussioni era far volare la fantasia. Quella fantasia si trasformava poi in disegni, giochi, idee da condividere con i compagni di scuola. 
Se oggi chiudo gli occhi posso vedere ancora il panorama che scorreva dal finestrino curvo della 500, di ritorno dalla spesa o dalla visita ai parenti. Ricordo, ho memoria di quel tempo, perché osservavo ciò che mi girava intorno. Ero attento, non perché fossi bravo o mi impegnassi, semplicemente non avevo altro da fare. Vivevo il presente, senza distrazioni. Poi sono cresciuto, rimanendo attento, e i miei nonni ho iniziato ad aiutarli, a portare la spesa, a parlare anche io nelle noiose visite ai parenti. Poi la mia infanzia è finita, ma ciò che hanno visto i miei occhi mi è rimasto dentro. 
Oggi al centro commerciale non ho potuto fare a meno di osservare bambini e adolescenti con gli occhi fissi su smartphone e tablet. Bambini a tavola in età da bavagliolo ipnotizzati, ragazzini con gli occhi fissi distanti quattro dita dallo schermo, adolescenti dal passo stanco con il pollice destro che componeva freneticamente messaggi. Il loro mondo non era intorno, con scarsa riconoscenza di chi ha provveduto agli addobbi natalizi e ai promoter dei materassi che cercano di incrociare gli sguardi di chi passa per lasciare il loro volantino, il loro mondo era nello schermo. 
Che cosa rimarrà di questo tempo nei ricordi di quei ragazzini ? La noia, forse, porta alla malinconia, ma credo anche che aiuti a elaborare pensieri e idee che solo in quei momenti possono essere pensati. Quando siamo soli con noi stessi. 
“Facebook e gli altri hanno costruito il loro successo sullo sfruttamento della vulnerabilità della psicologia umana: Dio solo sa cosa stanno facendo al cervello dei nostri figli”. 
Chi afferma questo è Sean Parker, ex presidente di Facebook, nell’articolo di Massimo Gaggi sul Corriere della sera  di oggi. 

Per chi legge ciò che ho scritto sul mio profilo, non sorrida, credo che i social siano anche utili, ma non devono diventare un mondo parallelo, soprattutto per i giovani e per chi ha le capacità e le idee per creare e per sognare. 

lunedì 11 dicembre 2017

LETTERA A BABBO NATALE

Caro Babbo Natale, quest’anno ho deciso di rinunciare a qualsiasi cosa, non voglio regali, non mi serve nulla, perché nella mia famiglia abbiamo tutto quello che ci serve. Addirittura se perdo qualcosa, a meno che non sia molto prezioso, possiamo anche ricomprarlo. 
Però in casa ci facciamo sempre delle domande, e parliamo spesso di come sarà la nostra famiglia. Questo perché la nostra famiglia non è finita. Ci manca un pezzo. E quel pezzo che manca noi non riusciamo a vederlo, perché è molto lontano, a ore di aereo da qui. 
Perciò tu, Babbo Natale, che hai la slitta con le renne e in una notte sola riesci a portare i regali a tutti i bambini del mondo perché sei magico, dai un’occhiata come sta quel bimbo in India. Tu lo sai, tu sai chi è, anche se noi non lo sappiamo ancora, lo sai , anche se il giudice non ha ancora scelto e chissà quando ci sceglierà . 
Tu lo sai perché sei magico, perché c’è magia in questo, c’è magia nell’adozione, ed è quella magia che muove i nostri cuori verso il bene che vogliamo ai nostri figli. Il resto lo lasciamo agli umani, tutto quello che sono  le carte, le pratiche, le leggi. 
Perciò Babbo Natale, mentre sei in volo con le tue renne, spargi un po’ della tua polvere magica, fai in modo che chi ci sarà stia bene. Non te lo chiede colui che diventerà il papà di quel bambino, perché tu gli adulti non li ascolti, e fai bene, ma te lo chiede quel bambino che da quarant’anni aspetta una vespa a pedali, (che poi è diventata a motore, ma poi gli anni sono passati). 
Se riuscirai a fare questa magia, a dare un sorriso a chi ci sarà domani nella nostra famiglia, io me ne accorgerò, magari fra qualche anno. 

Io aspetto, non ho fretta, magari poi la vespa a pedali la compro a lui. 

lunedì 20 novembre 2017

Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

20 novembre 2017 
Oggi si celebra in tutto il mondo la Giornata dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. La data ricorda il giorno in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò, nel 1989, la Convenzione ONU sui diritti dei bambini.
Pochi considerano questa data, riteniamo che i diritti violati dei bambini siano in realtà distanti da noi, ma non è così. Lo sfruttamento sul lavoro, i bambini arruolati in guerra, il traffico di organi e il commercio sessuale sono nefandezzze compiute anche vicino a noi. La nostra società non è immune dai mostri, non c’è bisogno di andare in medio oriente per vedere ragazzini con le armi in mano, basta andare nelle zone calde dove regna la camorra. Episodi di maltrattamenti e sfruttamenti arrivano da ogni luogo, non solo dalle zone degradate. Nel nostro mondo, dove i nostri bambini sono al sicuro, dovremmo essere altrettanto bravi ad insegnare loro i diritti, a tracciare un segno netto e a loro comprensibile per ciò che vedono di disumano, in modo che crescendo non si abituino MAI a considerare ciò che loro non hanno vissuto come episodi che fanno parte della normalità. 
La parte del mondo da cui viene mia figlia, e da dove arriverà l’altro nostro bambino, è un paese enorme come le sue contraddizioni, dove l’infanzia dipende dove, come, e da chi nasci. Colgo solo l’occasione in questa giornata per ricordarmi che un bambino, o una bambina che già esiste, un giorno sarà parte della mia famiglia. Spero tanto oggi stia vivendo la sua infanzia nel modo più sereno possible. Credo sia opportuno che tutti non consideriamo mai scontato ciò che oggi viene celebrato. 

La consapevolezza che il male esiste e può essere ovunque ci deve fare responsabilizzare su ciò che deve passare ai nostri figli, perché ora che sono piccoli, guardano e ascoltano noi.

mercoledì 25 ottobre 2017

Sliding doors - porte scorrevoli della vita

“Sliding doors” è il titolo di un film della fine degli anni novanta, quando io e mia moglie non ci conoscevamo ancora. Il tema è il destino, la successione degli eventi in relazione a un piccolo particolare, una variabile, insignificante come una frazione di secondo di ritardo che ti fanno perdere la metropolitana. Così la tua vita può cambiare, come succede nel film. Io e mia moglie ci siamo conosciuti nel duemila Ogni anno, quando arriva questa data, non posso fare a meno di pensare a quanto la casualità e ciò che chiamiamo banalmente destino, sia in realtà ciò che guida la nostra esistenza, ciò da cui dipende tutto. 
  Questa data è legata alla storia d’Italia per un anniversario che fu il preludio di un periodo tragico, dell’ inizio del fascismo e di tutti gli avvenimenti che seguirono e che purtroppo, ancora oggi, vengono dimenticati o peggio, da molte persone, idolatrati. La storia spesso non insegna nulla a chi non la vuole studiare e capire, ma inevitabilmente essa prende forma, cambia le cose, si costruisce giorno per giorno spesso in una consecuzione di eventi ai quali noi non partecipiamo o assistiamo inermi, lasciandoci trasportare dal destino. 
   Nella storia della mia famiglia, quel giorno di diciassette anni fa fu l’inizio di tutto. Era una sera come tante ed ero davanti al computer, così come colei che sarebbe diventata mia moglie ma che  ancora non conoscevo. Lei era a Milano, io a centotrenta chilometri di distanza. Navigavamo tutti e due nelle prime chat, erano i primi anni di internet per tutti, ricordo ancora i cd di installazione con il software gratis allegati ai quotidiani e il modem a 56 k che sfrigolava prima della connessione. C’erano i motori di ricerca in cui si potevano trovare un sacco di informazioni, c’erano chat in cui estranei parlavano di tutto.
   Era sera, qualche giorno prima del 28 ottobre (la data fatidica in cui ci incontrammo), quando accadde. Io ero stanco, avevo il dito sul mouse pronto a chiudere la finestra. Mia moglie (in quegli ultimi  minuti da persona a me estranea), stava digitando qualcosa nella stessa chat che avevo aperto io - adesso chiudo e vado a letto- pensavo. Stavo per cliccare quando in una frazione di secondo il mio sguardo cade su un nick name e il mio dito si rialza dal mouse. 
   Sliding doors,dentro o fuori . Scrivo un commento veloce e con mia sorpresa, ricevo risposta. La titolare di quel nick name si chiama Rossana, che buffo, penso, sempre stanco e con la voglia di chiudere e andare a letto, ma le rispondo che io mi chiamo Rossano (ma guarda tu il destino...), poi le battute continuano, ma non più sulla chat, perché qualche giorno dopo ci sentiamo per telefono. Ci siamo simpatici. Ci incontriamo. Non smettiamo più di vederci. Lei lavorava e stava per laurearsi, un anno e mezzo dopo il nostro incontro comprai casa e l’anno successivo andammo a vivere insieme. Negli anni abbiamo cercato ostinatamente di fare una famiglia, c’è stata la nostra volontà che ci ha portato ad agire e a compiere scelte, ma ancora una volta è stata una successione di eventi che ha determinato ciò che noi siamo ora.
   È stata la scelta di una persona che noi non conosciamo e che non conosceremo mai. È stata la madre che ha partorito mia figlia, che ha fatto in modo che sia stata trovata, che si sia salvata. Il luogo è un luogo indefinito ma verde, immagino tanti alberi, terra battuta, persone passavano a piedi, gli edifici sono bassi. Scelte sofferte, attimi, fatalità, gesti di persone sconosciute a migliaia di chilometri da noi, che aspettavamo un abbinamento per adottare un bambino, mentre una donna partoriva. 
   Sliding doors, dentro o fuori. Il pianto di mia figlia in quel punto del mondo è stato l’inizio di una nuova vita. Per tutti. È come se fosse stata l’espressione del dolore che si vuole riscattare per rigenerarsi, rinascere. Poi passano i mesi e come quel gioco con i nomi della chat fra me e mia moglie di tanti anni prima, il destino fa arrivare nelle mani di un giudice indiano  i nostri documenti e quelli della bambina. 
   Sliding doors, dentro o fuori. Un anno dopo siamo volati a prenderla. Adesso che siamo una famiglia, abbiamo deciso di diventare in quattro. Con questa nostra decisione abbiamo coinvolto un bambino, o una bambina, che ancora non lo sa, ma diventerà figlio e fratello (o sorella). Chi sarà non lo decideremo noi, e neanche il giudice in fine dei conti. Lo decideranno molte persone che si stanno muovendo ora, mentre sto scrivendo.
   Saranno coinvolte dalla nostra decisione persone in India, di cui ignoro e ignorerò per sempre l’esistenza. Solo una cosa penso: dove esattamente dove non lo so, ma sono certo che quella  persona dal destino unico, che fra qualche tempo prenderò in braccio e crescerò, esiste già. Cammina, parla, si muove, vive. Non so come sta, non voglio pensarci, perché ancora le porte stanno girando. È questione di attimi, come tutta la vita. Frazioni di secondo fanno vincere medaglie d’oro, uccidono, salvano, cambiano la storia, del mondo o di una famiglia, come noi, come tutti. 
   A noi è andata bene. Il destino ci ha voluto bene e spero con tutto il cuore che voglia bene anche alla piccola creatura che stiamo aspettando e di cui noi oggi non immaginiamo nulla, proprio come diciassette anni fa, quando ero stanco e volevo andare a letto. 
   Sliding doors . Click

giovedì 12 ottobre 2017

Pensiero di un papà ad una figlia nella I° Giornata Internazionale delle Bambine e delle Ragazze (International Day of the Girl Child)

La tua strada non  è iniziata nel migliore dei modi, e il fatto che tu sia una bambina, forse ha determinato l'abbandono che ha segnato i tuoi primi momenti di vita. 
 Sei nata in un paese che ha il primato mondiale delle ragazze sposate prima dei 18 anni - anche se il fenomeno è in calo- e genericamente è molto diffusa, come in tante aree rurali del mondo, una netta distinzione fra i sessi. Una differenza che vuol dire l’impossibilità di una bambina di andare a scuola, di formarsi una cultura è un carattere. 
 Noi invece, che viviamo nella parte civile del mondo, leggiamo ancora ogni giorno sui giornali notizie di violenze e discriminazioni. Queste notizie non cesseranno mai se non cambierà l’atteggiamento di noi uomini, se finalmente considerassimo un povero stupido chi solo fa battute sessiste o manca di rispetto ad una donna diversamente, nel merito del suo essere donna prima che persona con un ruolo lavorativo o sociale. 

Ti auguro che la tua strada sia sempre sgombra da individui che intralcino la tua intelligenza e la tua possibilità di realizzarti, ma sia una strada in cui tu possa  incontrare chi ti stimoli a scoprire il mondo, le tue passioni,  e che ti aiuti a realizzare i tuoi desideri. 
 Sarebbe bello, così, e il tuo papà lo troverai, sul marciapiede di quella strada, e se avrai bisogno sarò lì, un passo dietro a te. 


venerdì 15 settembre 2017

Primo giorno di scuola


Stamattina l'aria frizzante di settembre e il cielo sgombro di nubi promette una bella giornata, il sole riflette in diagonale le ombre sull’asfalto in una luce opaca di fine estate. Stamattina è una giornata speciale.
È il primo giorno di scuola per tante, tantissime famiglie e da quest’anno anche per noi, per la prima volta nella nostra vita, da genitori. 
Devo dire che l'euforia di nostra figlia ci ha sollevato dalle nostre ansie e dai nostri timori, anche stavolta come sempre, i bambini, sanno essere concreti e realisti. 
In fondo, lei sapeva benissimo cosa avrebbe trovato a scuola : i suoi amici delle materne (dopo essere stata in astinenza dai suoi simili per un’estate ed aver accompagnato i due genitori in iperattività turistica in Francia). Oltre agli amici, mia figlia avrebbe finalmente utilizzato i suoi nuovi e bellissimi quaderni, matite, libri e altri oggetti che da mesi non vedeva l'ora di poter toccare. Tutto l'occorrente per la scuola, era infatti rimasto inutilizzato, intonso, incartato ed etichettato pronto per la fatidica data: oggi, 15 settembre, Santa Maria Addolorata, anno 2017. Trentanove anni dopo il mio primo giorno di scuola ( per mia moglie è diverso: lei dal primo giorno non ha più smesso di andarci).
Stamattina ho fatto delle foto e mia figlia si atteggiava sempre quando l'emozione la tocca un po' ma non vuole farlo vedere, allora china la testa leggermente verso il basso e guarda di sbieco, accennando una smorfia che sembra un sorriso. 
Entrati in classe, tutti si sono seduti ordinatamente al banco -lasciando sorprese le maestre-, mentre il gruppo dei genitori, in piedi, assisteva con l'orgoglio negli occhi alla prole che in quell’istante aveva iniziato ufficialmente il percorso scolastico. Mentre accompagnavo mia figlia, percorrendo il corridoio ho adocchiato le altre classi : 4a, 5b,  e come un lampo nella mia mente ho immaginato il giorno che terminerà la scuola primaria , quando uscirà da questo edificio per sempre e inizierà le scuole medie. Comincerà l'età del cambiamento, si penserà al futuro, all'indirizzo scolastico. 
Per un attimo il mio battito cardiaco ha accelerato, poi ho pensato : è ancora piccola, e  stamattina, come sempre, ce la siamo trovati nel lettone che fremeva per la giornata di oggi. 
Dopo  averla lasciata nella sua classe, io e mia moglie ci siamo presentati alla vicepreside come genitori adottivi, - la nostra è una famiglia “ in evoluzione” - abbiamo detto. Quello di oggi è uno dei tanti passi che faremo, ho pensato, una giornata che vale la pena vivere come un punto importante nei nostri ricordi. 
Oggi sui giornali ci sono articoli che parlano dei giovani in cerca di lavoro che emigrano in Europa e negli Stati Uniti, sento anche per radio le interviste ai genitori, che raccontano dell'orgoglio dei loro figli, una fierezza che li rende però soli, in un processo sempre più ampio di riformazione e diversificazione del concetto di famiglia, dove vengono a mancare per tutte le generazioni i punti fermi che ai mei tempi, quando io ero seduto al banco di scuola, erano difficilmente discutibili per le nostre latitudini : le opportunità di lavoro accessibili, il riconoscimento della competenza e dello studio e la dignità del lavoro. Oggi è sempre più difficile trovare la propria strada senza per forza dover subire lo stravolgimento delle nostre abitudini e dei nostri piani di vita. Mi rendo conto che i miei pensieri volano, cerco di tornare coi piedi per terra, mia figlia ha ancora sei anni,  nella sua classe starà mettendo a posto i suoi quaderni, starà prendendo familiarità con i nuovi ambienti e con le maestre. La vita è ancora tutta da fare, c'è tanta strada e tanto tempo davanti, mentre penso a chi adesso vive non so dove, ma lui o lei ancora non è con noi, non sa nulla di noi e io sono qui, che penso al futuro, ma il futuro lo scriviamo adesso. 

Buon primo giorno di scuola.

mercoledì 30 agosto 2017

La festa a Reggio





La strada che divideva casa mia dall’ingresso della festa distava circa cinque chilometri , tanto che, nonostante io avessi undici anni e una bicicletta ancora da bambino- quelle con la sella lunga e il telaio troppo corto- potevo affrontare senza sforzo il sottopassaggio, la strada trafficata, i semafori e l’affollato ingresso del Campovolo. 
Con i miei nonni che pedalavano davanti e dietro di me, s'intende. 
Mia nonna davanti sbracciava per indicare i cambi di direzione e mio nonno dietro di me cavalcava la bicicletta con una leggerezza che quando scendeva o saliva su essa, pareva danzasse sull’asfalto. 
Quell’anno c'era particolare traffico, era una cosa in grande, non tanto importante come il fatto che avrei iniziato a settembre le scuole medie, ma quasi. Mio nonno parlava che a giorni ci sarebbe stato Berlinguer. 
C'era il parcheggio delle biciclette, si entrava a piedi. L'erba solleticava i miei piedi mentre camminavo nel prato coi miei sandali, in mezzo ad una marea di gente, transenne e automobili che arrivavano da tutte le direzioni . Le occhiate dei miei nonni -non mi perdo, sono qui-mi seguivano ad ogni passo. 
La luce che ricordo è quella chiara dei tramonti di fine estate, il profumo quello della carne alla griglia dei ristoranti, poi ricordo la polvere, tanta, sollevata sulle strade di terra battuta davanti ai ristoranti, agli stand di paesi esotici. Vietnam, Cambogia, URSS. Volevo comprare i francobolli, bellissimi, su di essi ci sono un sacco di stelle rosse, un uomo con i baffi, orsi e soldati. I miei nonni me li comprano. 
Poi si cena, tortelli, carne, sui tavoli con la tovaglia di carta e volontari con il grembiule bianco. Quell’anno smetterò il mio, a scuola, chissà i professori, chissà se anche loro sono qui in mezzo, sembra che ci sia tutto il mondo. 
I miei ricordi sono questi, dell’evento di settembre del 1983, oggi , trentaquattro anni dopo, a questa festa ci andrò in qualche modo coinvolto per parlare di una cosa che ha segnato la mia vita, di un progetto realizzato, ma ancora in corso d’opera. Non voglio mai dimenticare quel tragitto in bicicletta, l'ho percorso con chi ha fatto parte della mia infanzia, e dedico la serata di martedì a chi l'infanzia la sta vivendo oggi. 
Spero di essere per mia figlia oggi, la stessa schiena che mi faceva da guida dinanzi a me, mentre pedalavo, spero che oggi lei mi osservi, e che dal mio sguardo si senta protetta. Un pensiero, inevitabile, a chi oggi non c'è: a chi volteggia in bicicletta sulle nuvole, e a uno sconosciuto bambino, che diventerà mio figlio. 
Due assenze, il passato e il futuro, il ricordo di chi ero e il motivo di vivere oggi. Quest’anno non ci sarà Berlinguer, ma magari parlerò  di lui a mia figlia, raccontandogli la favola di un uomo perbene, l'idolo del suo bisnonno, e di una generazione che aveva un sogno e la consapevolezza di poterlo realizzare. 

Quest’anno al campovolo parleremo di adozione, di bambini, e la mia infanzia ritorna, inevitabile, nei miei ricordi, oggi, come tutte le volte che guardo mia figlia.

giovedì 3 agosto 2017

L'amore non basta



Scorrono fluide queste giornate di inizio agosto, con le temperature al massimo e i pensieri che vanno alle ferie imminenti. Anche noi partiremo tra pochi giorni e vivremo la nostra vacanza, un altro nuovo pezzo del nostro vissuto che rimarrà forse, incastrato nei tuoi ricordi. 
Ora è tutto facile, il nostro compito, per adesso, è farti da guida alle tue scoperte, rispondere alle tue domande, essere i pilastri della tua infanzia. Siamo mamma e papà, ma siamo anche qualcosa di fisico che deve essere vicino, da toccare, al massimo a vista d'occhio ma comunque raggiungibile in pochi secondi. La recente vacanza con i nonni dove per ben una settimana siamo stati lontani è stato un successo, un'esperienza positiva per tutti, ma aveva un inizio e una fine, come tu hai ribadito spesso, anche nelle telefonate piangendo di nostalgia, nonostante il divertimento e l'eccitazione di quella parentesi nuova. 
Penso alla tua età e penso a ciò che ricordo io della mia infanzia, nell'estate dei miei sei anni e devo dire che ricordo poco, se non l'immagine sfocata del cortile davanti a casa, dei cartoni animati di Goldrake, Topolino che non sapevo leggere e del mio  primo oggetto del desiderio: un pallone da calcio. Non era un pallone qualsiasi e io non ho mai giocato bene a calcio, anzi forse quel pallone non l'ho neanche mai toccato con i piedi ma quando lo vidi, bianco e bellissimo con lo stemma dei mondiali di argentina ’78 rimasi folgorato e mi bloccai. 
Ho quel ricordo, nitido. Chissà quali immagini, quali altri ricordi sono rimasti profondi nella mia infanzia normale e tranquilla. Chissà cosa ricorderai tu, un giorno. 
Ora tutto scorre liscio, ma sono consapevole che non sarà sempre così. Ti stiamo arginando con tutto l'amore possibile ma l'amore non basta. Ci vuole ascolto, dobbiamo esserci quando ci manderai le tue richieste di aiuto, così improvvise è indecifrabili che sorprenderanno anche te. Dovremo avere empatia con i tuoi sentimenti, leggerti negli occhi, e quando torneremo in India per completare la nostra famiglia guardare il paese da dove arrivi con i tuoi di occhi. Dovremo essere pronti quando arriverà l'onda del tuo passato, quando la risacca di quel tempo lascerà scoperte le tue paure, tutto quell’ignoto che è anche nostro. 
Ma ora è presto. 
Questa è l'estate dei tuoi sei anni, e fra poco partiremo per le vacanze. Il tuo oggetto del desiderio è frammentato in una miriade di bamboline, giocattoli, libri e accessori vari, tutti in vendita nella cattedrale dei sogni: l'edicola sotto casa dei nonni, dove recentemente è parcheggiata una moto fiammante, di proprietà dell’edicolante stesso. 

Forse anche quella moto era l'oggetto dei suoi desideri e forse, indirettamente anche tu hai contribuito a fargli realizzare il suo sogno. Ora prepariamo le valigie, fra poco si parte, per avere ricordi, bisogna vivere la vita, e noi, insieme cercheremo di farlo nel migliore dei modi possibili. Buone vacanze a tutti.

mercoledì 28 giugno 2017

Tortelli e Dahl



Dal punto di vista prettamente culinario, i due piatti non hanno niente in comune, tanto che uno è tradizionalmente Italiano, o per meglio dire emiliano, l’altro tipicamente indiano. 
Le due  ricette differiscono per gli ingredienti, tipici del luogo per entrambi, e per il sapore, che rappresenta la cultura e la tradizione di origine. I tortelli rappresentano infatti un caposaldo della cucina tradizionale, ci sono i  “tortelli verdi”- ricetta tipicamente reggiana - con ripieno di bietole e spinaci e conditi con burro e salvia per poi aggiungere il parmigiano reggiano grattugiato. In alternativa, ci sono i tortelli con ripieno di zucca, variante altrettanto saporita e specialità della zona verso Mantova. 
Il Dhal, invece, lo troviamo nella cucina indiana, ed è un piatto costituito da lenticchie decorticate, insaporite con spezie come curcuma e curry. È l'accompagnamento più comune per carni stufate, riso o verdure. Pensare a questi piatti mi fa pensare anche agli accompagnamenti che i miei ricordi automaticamente abbinano: per i tortelli mi salta subito alla mente il bollito di manzo  e la salsa verde con prezzemolo e aglio, il cotechino con il purè a Natale, ma anche i cappelletti in brodo, e via dicendo. 
Per il Dhal...i miei ricordi si limitano a quelli di sporadici pranzi o cene in ristoranti indiani (perlopiù a Milano o Parma, nella mia città per la cucina siamo molto tradizionalisti) anche se da  qualche anno a questa parte, per quella cucina, per quei sapori che vengono da un'altra parte del mondo ho più rispetto ed attenzione che mai. Addirittura cerco di trovare analogie e punti in comune fra questi due mondi. È molto difficile, ma questi due mondi sono casa mia, e in qualche modo queste due culture - non solo culinarie- si sono fuse. 
In futuro, quando mia figlia crescerà, questo insieme di culture sarà la nostra identità, e chissà se un giorno cercherà la sua origine anche nei sapori che lei ora non ricorda, (e che rifiuta preferendo tassativamente i tortelli verdi fatti dalla nonna sommersi dal parmigiano). 

Ho fatto questa considerazione perché lo scorso venerdì 23 giugno, abbiamo festeggiato S.Giovanni con l’immancabile tortellata, mentre sabato 24 eravamo  in toscana per la bella serata organizzata da A.P.I. l'associazione di famiglie adottive con cui abbiamo condiviso la cena a base di piatti indiani. La concomitanza delle due cose mi ha fatto riflettere, sulle origini e sui ricordi, in quanto, tramite nostra figlia, detentori di una cultura che ha radici diverse dalle nostre, e che è nostro compito crescere, per aiutarla un domani, ad avere una sua, bellissima e unica identità.